"La scuola di guerra della vita", Friedrich Nietzsche:

Quel che non mi uccide, mi rende più forte"

(Friedrich Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, 1888)

"Se dopo aver accompagnato tuo figlio in palestra, aspettando seduto nello spogliatoio e pensando alla gara del giorno prima, con la calcolatrice del cellulare cominci a calcolare:

- a che passo avresti dovuto correre per arrivare cinque minuti prima;

- che tempo avresti fatto se ai 10 chilometri fossi arrivato ad una media inferiore di 5 secondi al chilometro;

- a che media affronterai la prossima gara volendo migliorare il tuo PB di almeno 10 minuti

allora le possibilità sono due: o sei un runner o sei cerebroleso, e non è detto che una escluda l'altra....”
(orzo)
....certo che noi runners siamo proprio strani....
clicca sull'immagine qua sotto

I miei Trail

Sentiero CAI n° 3
Cavalcata carsica

 Domenica 4 dicembre 2011

E’ con non poco timore reverenziale che mi accingo a scrivere questa pagina, affrontando l’argomento trail con tutto il rispetto che esso merita.
Gia, perché questa “gara” di trail è stata la mia prima esperienza in tal senso….a meno che ad esso non si vogliano assimilare le lunghe discese di corsa dall’Altipiano del Canin e dai suoi Abissi, magari sotto la pioggia, alle macchine posteggiate a Sella Nevea, 1.000 metri più in basso, con zaino(ne) in schiena e sacco speleo di traverso sopra ad esso, tenuto con le due mani, una di qua ed una di là, all’altezza delle orecchie.
Scarponi ai piedi, il sole che oramai se ne stava andando, si concludeva così l’ultima “punta” (esplorazione speleologica volta ad approfondire il già noto Abisso, ndr), fradici, in arretrato di sonno e con venti ore di esplorazione alle spalle.
Se il trail è paragonabile a quelle discese e ad altre salite ancora, beh, allora ne ho già fatto parecchio.

Ho virgolettato la parola “gara” perché essa non sembra coincidere con lo spirito che anima questa corsa che ogni anno, la prima domenica di dicembre, si svolge sull’Altipiano carsico unendo l’abitato di Pese, alla quota di 470 metri in Provincia di Trieste, con quello di Jamiano, quota 45 metri, in provincia di Gorizia.
Cavalcata carsica, una “gara non gara” che ufficialmente non esiste, non essendo pubblicizzata su nessun manifesto o sito web.
E’ nata 24 anni or sono dalla felice intuizione di quattro amici, Rudy Geic, Armando Germani, Virgilio Zecchini, purtroppo scomparsi,

 
(foto atleticats.com)
e Claudio Sterpin,
Presidente del Marathon Trieste, podisti, escursionisti ed alpinisti, che, in un tentativo ante litteram di abbattimento della Cortina di ferro, iniziarono a percorrere di corsa, quasi una forma di protesta, la traccia nei boschi lungo il confine di Stato, appena al di qua di esso.
Una manifestazione sportiva in totale “anarchia”, senza gonfiabili a segnalare la partenza né l’arrivo, senza pacchi gara, ristori, pettorali o micro-chip.
Per parteciparvi è sufficiente presentarsi alle 7 a Pese, dare il proprio nome ed affrettarsi alla partenza….tutti insieme, in un improbabile amalgama di podisti, speleologi/alpinisti, escursionisti e trailers di ottimo livello, con l’intento di arrivare al traguardo qualche ora più tardi e chiudere così ognuno la propria stagione sportiva.
Il tracciato percorre integralmente il segnavia CAI n° 3, cinquantatre chilometri di sentieri, carrarecce e tracce nel bosco in continuo saliscendi che ammontano a millequattrocento metri di dislivello positivo, toccando i monti Concusso, Orsario, Lanaro ed Ermada, con una quota massima raggiunta prossima ai 600 metri.
E’ obbligatorio non distrarsi, sia per il fondo a tratti estremamente irregolare e che presenta salti di trenta-quaranta centimetri, con roccia scivolosa e fango, sia per la presenza a volte nascosta di diramazioni poco evidenti, il più delle volte celate o comunque non sempre troppo visibili.

Fin qui i miti e le leggende che in questi anni hanno avvolto questa manifestazione e che, da quando ho ripreso a correre, mi hanno affascinato: trail di casa nostra che nulla ha da invidiare ad altri più blasonati ed al quale non posso mancare, ma al quale per due anni di seguito ho già dovuto rinunciare, per impegni già presi o per motivi di salute.
Ma quest’anno non me lo lascio scappare, voglio concludere in gloria il mio anno sportivo ed arrivare di corsa a Jamiano ad ogni costo, entrando in questa leggenda.
Parola d’ordine: autosufficienza, almeno per quelli che, come me, non possono sperare in aiuti per avere del thè caldo, generi di conforto e vestiario asciutto lungo il percorso.
Nei 53 chilometri di sviluppo, i soli borghi carsici che si incontrano sono Grozzana, un paio di chilometri dopo la partenza, Zolla di Monrupino e Medeazza, a quattro chilometri dall’arrivo, mentre le sole strade asfaltate che si attraversano sono quelle che conducono ai valichi confinari di Basovizza, Fernetti e San Pelagio, unici punti nei quali si può essere eventualmente raggiunti e supportati da parenti e amici.
Mi organizzo quindi al meglio, consapevole anche del fatto che, essendo la prima volta che mi cimento in questa impresa, potrei avere difficoltà nel trovare la traccia giusta e che, di conseguenza, i tempi di percorrenza potrebbero allungarsi notevolmente.

Passo la sera di sabato a preparare quello che mi servirà l’indomani:


 200 g di miscuglio di formaggio grana, uvetta e noci,

una pseudo-barretta energetica, due dolci al cioccolato ripieni di cocco (simil-Bounty), un gel, una mela già tagliata in quattro spicchi, un litro d’acqua e tre bustine di integratore di sali che domani, aspettando il caffè, verserò in mezzo litro d’acqua.
E poi, visto che “non si sa mai”, due fasce elastiche, cerotto, qualche compressa di garza, un telo termico e la giacca impermeabile….manca ancora la frontale, poi potrei andare a farmi l’UTMB….


C’è posto ancora per due paia di calze e poi….come non mettere anche un paio di scarpe ??….già, anche quelle….
E non ci sta male nemmeno un biglietto del bus, nel caso l’avventura sia destinata a finire anzitempo.

Peso totale dello zaino: 4 Kg….tutto sommato accettabile.






Alle 6:55 parto da casa con Grazia, Chiara e Danilo, con la macchina di Chiara, che rimarrà a Pese fino alla sera; il camper di Danilo è già posteggiato a Jamiano e con esso torneremo a Pese.


Dopo circa venti minuti siamo alla partenza, assieme ad altri amici, molti volti noti e qualche decina di trailers provenienti da altre Regioni: in tutto siamo in 102 partecipanti.
L’ incantesimo del momento fa sì che geologi, avvocati ed ingegneri partano fianco a fianco con operai, idraulici ed elettricisti, tutti uguali a faticare ed a sbuffare insieme, accomunati dalle endorfine che di là a poco circoleranno vorticosamente nel sangue….magia dell’ambiente sportivo.
Ci sono Stefano e Marco, alpinisti degli 8.000, Roberto, mezzofondista “anni ‘70”, Lorenzo, sci-alpinista, il mio collega Stefano, maratoneta, e chissà quanti altri ancora che nella confusione del momento non riesco a scorgere.

C’è molta nebbia, il sole non è ancora sorto, ma non fa freddo e non è prevista pioggia, meno male.
Decido di partire comunque “in lungo”, ben sapendo che di là a poco soffrirò il caldo, ma ho già previsto una prima sosta per levare i pantaloni lunghi e la maglia tecnica con le maniche lunghe.
Noi quattro ci siamo un po’ attardati alla macchina e quando arriviamo di corsa alla partenza non c’è quasi più nessuno.
Il Garmin stenta ad agganciare i satelliti, cominciamo bene….stiamo già correndo e stufo di aspettare premo “start”, mentre abbiamo fatto quasi un chilometro.
Parto quindi insieme a loro, ma all’approssimarsi dei primi tratti in salita mi accorgo che non riuscirò a tenere a lungo il passo e dopo un paio di chilometri, complice una fitta nebbia, li perdo di vista definitivamente.
Poco dopo il terzo chilometro faccio il primo sbaglio della giornata e manco l’incrocio, continuando in salita per un centinaio di metri, andando avanti e indietro per un paio di volte prima di accorgermi dell’errore e ritornare sul sentiero giusto, perdendo una decina di minuti.

Breve tratto a mezza costa ed inizia la prima vera discesa, molto ripida e da affrontare con cautela, visto il fondo fangoso e le rocce scivolose presenti.
Ahia, la caviglia !!
Già, quella brutta distorsione di quattro anni fa ha lasciato il segno, non sono stati sufficienti tre mesi con la gamba orizzontale per risolverla.
Ogni volta che ci atterro sopra in discesa fa un po’ male, specialmente se il peso è posto leggermente fuori asse….ma non è niente di preoccupante, mi ci abituerò….c’è chi convive con dolori ben più grandi di questo.
Al termine della discesa, lunga circa un chilometro, ecco il primo attraversamento stradale, la provinciale che conduce al valico di Basovizza.
Il sentiero prosegue adesso pianeggiante per tre chilometri, risalendo poi le pendici del Monte dei Pini con la sua stupenda vegetazione.
Adesso esce il sole e comincia a far caldo: mi fermo a mangiare un po’ di cioccolata e ne approfitto per levarmi maglia e fuseaux.

I primi tra i ciclisti, partiti mezz’ora dopo i trailers, si stanno avvicinando: qualcuno comincia ad avere dei problemi e riparte dopo avere sistemato una ruota.
Qua i tratti in single-track si percorrono molto bene ed è difficile sbagliare percorso.

Si scende quindi il Monte dall’altro versante e si prosegue in direzione di Fernetti.

E qui, attorno al 14° chilometro, sbaglio di nuovo.
Me ne accorgo per fortuna abbastanza presto, perché il sole “si è spostato” troppo rispetto alla direzione che devo tenere, ce l’ho quasi in faccia; fra andata e ritorno perdo comunque quasi dieci minuti.

Il paesaggio è sgombro da alberi; sono presenti solo bassi arbusti ed erba secca e si prosegue sempre in piano per altri due chilometri circa, fino ad arrivare nei pressi del valico di Fernetti dove si percorrere un segmento di asfalto.
Fin qui tutto bene, sbagli di strada a parte, ma ora mi aspetta la salita del versante meridionale del Monte Orsario, particolarmente ripido, ed è inutile fare gli eroi, meglio cominciare a camminare .
Ci sono un paio di saltini di roccia di ottanta centimetri di altezza da superare aiutandosi con le mani e i ciclisti cominciano ad incontrare le prime vere difficoltà.
Sorpasso quelli che mi avevano superato nella prima discesa e nei tratti pianeggianti, adesso le sorti si sono invertite, e non li invidio.
Le roccette finiscono ed il sentiero torna pianeggiante, anzi in leggera ma costante discesa, diretto verso Zolla di Monrupino, dove riprende un tratto asfaltato.
Scherzo un po’ con dei supporters di qualche altro trailer (“ma io a voi vi ho già visto….”), incontrati a Grozzana ed a Fernetti, gli altri punti raggiungibili in macchina.
Ho percorso una ventina di chilometri, finora in assoluta solitudine, ciclisti a parte, e non essendo mai passato da qua comincio ad avere qualche dubbio, anche perché è da un po’ ormai che non vedo più il numero 3 sui muretti a secco.
Scendo lungo la strada per cento metri….risalgo, non sono convinto.
Scendo di nuovo, cercando qualche indizio, ma non vedo niente, solo strada asfaltata che corre tra i campi….risalgo.

Entro per qualche metro in paese e per fortuna scorgo due abitanti, ai quali chiedo se hanno visto passare qualcuno, di corsa o in bici.
No, nessuno, almeno da mezz’ora a questa parte
Mi fido e riprendo a correre in discesa, fiducioso che prima o poi “qualche numero 3” apparirà….e così è !!
Altri dieci minuti abbondanti persi !!
Fra “cambio abito”, incroci sbagliati ed una paio di soste per bere un pò d’acqua ho già impiegato più di tre ore, e non sono nemmeno a metà….
Riesco comunque a correre ancora tranquillo, su questo tratto di asfalto che fila dritto verso nord, fino a quando, al 22° chilometro, la strada esce dalle case del paese a piega bruscamente ad ovest.
E sono praticamente certo di aver sbagliato di nuovo….nessun numero 3, una garritta di confine, qualche altro indizio che non sono più in Italia, come mi viene confermato da un contadino in giro con il suo cane.
Però la direzione è questa, senza ombra di dubbio….e scrutando bene sul muretto a secco ritrovo “il piccolo numerino magico”.

Mi tranquillizzo ed entro nel bosco; adesso la fatica inizia a farsi sentire, oltre a tutto inizia un tratto di saliscendi che taglia il passo….rallento, mi fermo e mangio una manciata di formaggio, uvetta e noci, alimento dimostratosi strategico, caldamente consigliato.
Rimonto le pendici meridionali del Monte Lanaro, praticamente sempre al passo, fino ad arrivare in cresta: sono più o meno alla metà del percorso totale.
Mangio ancora qualcosa, un sorso di sali, due-tre di acqua. E già che ci sono faccio una foto.

Macchie di latifoglie con tappeti di fogliame rosso e giallo si alternano a boschi di conifere dall’alto fusto, con i tronchi ben spaziati uno dall’altro.
Da qua in poi è netta discesa, ormai i maggiori tratti di salita sono terminati ed il percorso è sufficientemente chiaro, pur con qualche eccezione….
La stanchezza adesso si sente, eccome: pause sempre più frequenti, tratti al passo anche sul terreno pianeggiante, scarsa prontezza delle gambe nell’evitare i sassi sul sentiero e le radici degli alberi che spesso vedo all’ultimo momento, mimetizzate tra il fango e le foglie cadute.
NON MOLLARE !! FORZA !!
Non mollo proprio, non ho nessuna intenzione di farlo !! Devo però stare attento a come procedo.
Quel paio di decenni di speleologia mi ha insegnato a non ridurmi a zero di energie ed a mantenere sempre una riserva di resistenza: a molte ore di distanza dalla superficie e ad un migliaio di metri di profondità, rimanere senza forze poteva voler dire morte certa….scuola di vita, addestramento che può levare da qualche brutto impiccio e che ho sempre vivo in me.

Sto correndo da solo ormai da quattro ore e mezza e provo un inverosimile senso di libertà.
Dal 26° chilometro il tracciato si svolge decisamente in discesa, in una zona che è la più selvaggia e lontana dalla civiltà. Spettacolare !!
Il colore cupo e profondo del bosco incute assoluto rispetto e stimola la mente a viaggiare libera.
In essa si susseguono veloci migliaia di pensieri e di riflessioni, alcuni risultanti dall’attività che sto svolgendo, altri che non c’entrano niente e che senza nessuna logica si fanno spazio tra i neuroni cerebrali.
E’ incredibile accorgersi di quante cose possono passare per la mente, e quanto assurde e sconclusionate esse possano essere.
Lavoro, famiglia, sport….sport va con tempo libero, ma la famiglia ed il lavoro invece no….già, difficile conciliare tutto. Com’è buono l’odore del bosco….strano, con tutto quello che ha piovuto ieri, qua per terra è asciutto. Domani devo telefonare al tipo, mi deve dare quei dati che gli ho chiesto per quell’ultimo lavoro….
Al 29° chilometro le gambe riprendono un po’ a girare, grazie anche alla continua discesa, che agevola; il sentiero adesso si è allargato di parecchio ed è diventato una comoda carrareccia ricoperta da ghiaino sulla quale si procede spediti senza troppo sforzo.
Sento in lontananza il rumore delle macchine, passo accanto ad un recinto con due cavalli bianchi, senza rendermene conto ho perso più di cento metri di quota.
Rallento perché c’è qualcosa che non mi quadra….comincio a vedere delle case…. cartelli turistici che indicano degli agriturismo….rifletto e non ricordo più quanto tempo prima ho notato l’ultimo 3….cammino….45, sentiero 45 !!!! e chissà dove ho mancato l’incrocio giusto !!!!

A dire il vero il fatto mi demoralizza parecchio e mi passa per la mente l’idea di prendere l’autobus e tornarmene a casa….ma quassù è troppo bello, e tutto sommato è un peccato non arrivare alla fine.
Apro lo zaino e mi fermo, approfitto di questo ulteriore errore per mettere qualcosa sotto i denti e per bere un po’ di integratore, e riparto, con nuova energia e rinnovata fiducia nelle mie forze.
Stabilisco che a questo punto, avendo perso tanta quota, è inutile ritornare indietro per cercare un bivio che comunque non conosco perché non ho mai visto, e decido quindi di proseguire su questo sentiero che prima o poi mi farà incrociare il 3.
Tempo perso direi mezz’ora e strada percorsa in più un paio di chilometri.

Finora, in sei ore e un quarto di strada, non ho superato nessuno a piedi, eccezion fatta per un signore che ho passato al terzo chilometro e che senza troppe ambizioni cronometriche procedeva con i bastoni da nordic walking.
Da qualche chilometro ho iniziato a catalogare ogni asperità che passa sotto le suole delle mie A5, ormai riesco a distinguerne diametro, macro-forma, granulometria e contenuto in silice….tra un po’ inizierò a chiamarle per nome….le piante dei piedi cominciano ad urlare vendetta.

Sono ormai al 36° chilometro e prima o poi dovrebbe materializzarsi davanti a me la strada che porta al valico di San Pelagio, “punto di ristoro” per chi così è riuscito ad organizzarsi.
Qualche macchina posteggiata ed un paio di persone, conosco qui il simpaticissimo Giorgio, trailer di qualche anno più anziano di me che sta indossando una maglietta asciutta.
Vado avanti, tanto vado piano e mi raggiungi”, gli dico.
La strada da percorrere è ancora lunga, ma in cuor mio sono sollevato per aver incontrato qualcuno e confido ancora nelle mie forze.
Abbozzo una parvenza di ripartenza e riprendo a correre su un sentiero continuamente in saliscendi, che mi sfianca davvero.
Sento nel collo le pulsazioni che salgono, respiro con affanno e devo fermarmi.
Riprendo per altri cento-duecento metri, ma avverto molto la stanchezza e le gambe cominciano a non rispondermi più.
Passo la cima del monte Sambuco e fra trincee della Grande Guerra costeggio il Monte Ermada, ormai quasi sempre al passo, con una forza che sembra svanire, mentre trovo sollievo nel guardarmi attorno.

Il sentiero risale ora un ripidissimo colle e segue la traccia interrata dell’Oleodotto transalpino, che porta il petrolio scaricato dalle navi nel Golfo di Trieste fino ad Ingolstadt, in Baviera…io mi fermo di sicuro prima….
La discesa dall’altra parte del colle è a dir poco vertiginosa, qua se si cade ci si fa male davvero, meglio procedere con attenzione.
Riesco ad accelerare un po’ nell’ultimo tratto della discesa ed approfitto dell’abbrivio per continuare a correre ancora un centinaio di metri.
E’ il 46° chilometro, mi raggiunge Giorgio.
Scambiamo le solite due parole di chi sta iniziando a conoscersi ed è subito profonda empatia.
Scopriamo amici in comune, anche qualcuno che non c’è più, la stessa formazione speleo/alpinistica e ci accorgiamo di appartenere alla stessa Sezione del CAI.
Chissà quante altre volte ci siamo visto in giro per i monti o per i sentieri del Carso, l’uno senza far caso all’altro.
Ma qua oggi è diverso, stiamo condividendo questa ultima interminabile manciata di chilometri ed ognuno di noi ha bisogno dell’altro, un appoggio psicologico che solo la gente che va per monti conosce.
In una piacevolissima chiacchierata facciamo scorrere gli ultimi chilometri sotto le nostre scarpe, in un tratto del percorso largo e ben segnato, ma con dolori lancinanti alle gambe.
Forse lui ne avrebbe ancora, ma io sono davvero agli sgoccioli, e devo camminare ogni volta, appena il sentiero accenna a risalire.
La luce intorno si è velocemente abbassata, ormai è quasi buio ed in lontananza scorgiamo le luci delle prime case del paese, sempre più vicine.
Ancora corsa e cammino, più volte, ed ormai ci siamo.
Mi sarebbe piaciuto arrivare correndo fino alla fine, ma l’ultima salita è per me troppo ripida e non ce la faccio davvero più.

Arriviamo affiancati, come è logico che sia, tra i “BRAVI !!” dei suoi amici che lo stanno aspettando e le bestemmie dei miei che invece erano angosciati non vedendomi arrivare, preoccupati dal cellulare che non dava segno di vita.

Ci ho impiegato nove ore esatte, un’enormità, ma poco importa, per me è stata un’esperienza unica.
Il viaggio che ho fatto dentro di me, oltre che lungo il sentiero, mi rimarrà scolpito profondamente a lungo, pratica zen che non immaginavo di poter provare a pochi chilometri da casa.
Con la gioia del finale in compagnia di un mio simile, impagabile !!
E queste nove ore l’anno prossimo potranno diventeranno otto, considerata l’ora persa tra sbagli di strada, fotografie e cambi di vestiario.
Per adesso è ancora troppo presto per parlarne, visto che in questi ultimi due giorni incontro notevoli difficoltà a salire e scendere le scale, ma ho un anno di tempo per riprendermi.









 


>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<







Lanaro Granfondo



Domenica 15 gennaio 2012

Dopo un dicembre che mi ha fatto sognare sul sentiero 3, la prima gara del 2012 non poteva essere che trail.

In una fredda mattinata di metà gennaio, snobbando il tepore del piumone, contravvenendo alle banali logiche di salute mentale, noncurante delle basse temperature esterne e dei ritmi rallentati dalla giornata festiva, il runner medio esce, cercando nello sforzo fisico l’appagamento e l’equilibrio psicologico che nessun’altra sostanza gli dà....beh, non esageriamo: vogliamo mettere un buon calice di Montepulciano d’Abruzzo ?? o una Mc Ewan’s rossa, magari con un piatto di patatine fritte con sopra la salsa rosa ?? oppure un bello stinco di maiale con patate al forno, con una birra artigianale da Mahnič, in Slovenia, appena oltre al Confine di Stato ??....OK OK, basta, sennò non esco più !!

Alle otto Davide è sotto casa, in macchina ad aspettarmi; destinazione l’abitato di Moccò, nei pressi della Val Rosandra, ad una decina di chilometri da Trieste, da dove partirà l’undicesima edizione (ottava per i podisti) di questo ormai classico appuntamento offroad per bikers e runners, destinato a quei temerari che vogliono dare il meglio di se stessi lungo una trentina di chilometri di sentieri ed ottocento metri di dislivello positivo.
Per me sarà la prima volta.

Organizzata dal gruppo “Vulkan” della Società Alpina delle Giulie, Sezione di Trieste del CAI, la manifestazione raccoglie ogni anno un numero crescente di pazzi furiosi, tanto che da qualche anno l’Organizzazione deve istituire il numero chiuso a 150 podisti e 250 ciclisti.
Il percorso si snoda per circa cinque chilometri lungo la ciclabile,


già linea ferroviaria Trieste-Erpelle, che attraversa la Val Rosandra, raggiunge i 400 metri di quota inerpicandosi per un ripido sentiero e si addentra fra boschi secolari fino a raggiungere, in un continuo saliscendi, la cima del Monte Lanaro, a quota 545 m s.l.m.
Ho già provato i due terzi finali l’anno scorso, in piacevolissima compagnia,




(con il panettone sotto la maglia, per ogni evenienza....) nell’intento di partecipare alla gara; con un’ardua decisione scelsi poi diversamente.

Il sabato ritiro il pettorale, ed i presupposti non sembrano dei migliori: diciamo che ben che vada forse farò ridere, considerato il parallelismo con il noto personaggio Disney !!



La corsa parte, per i podisti, alle 9:15, in un quarto d’ora siamo a Moccò, ma dobbiamo pur prendere un’oretta di freddo, sennò che pazzi furiosi saremmo….
Sì, il freddo non manca, così come non manca una gelida brezzolina; quello che manca è invece il sole, che stenta a fare capolino, dietro il Monte Carso.
Temperatura direi circa 4-5 gradi sotto lo zero, a giudicare dalle dita delle mani ghiacciate e dai moccoli che provano a scendere dal naso.


Mentre Davide si veste, faccio qualche minuto di riscaldamento con Ale; e prima della partenza tutti insieme, per la foto di rito.


E’ la prima volta che provo i Booster su una distanza di un certo rispetto, dopo averli indossati per un paio di brevi uscite sui dieci chilometri: sono curioso di utilizzarli per capire se sono davvero utili.
Alla partenza mi piazzo in fondo al gruppo, tanto poi li riprendo tutti….ehm….




Poco dopo il quinto chilometro, alla base del sentiero che con una pendenza del 12 % porta alla Provinciale cento metri più sopra, decido di camminare: scelgo, infatti, di affrontare la gara con una linea morbida, visto che si tratta comunque di trenta chilometri, che proprio così poco non sono.
Mi passa il trio Chiara-Grazia-Danilo; sarà un continuo riprendersi e staccarsi fino alla fine, loro arriveranno quattro minuti prima di me.
Dopo il primo tratto, confinato dalla Val Rosandra, lo scenario si apre sull’Altipiano carsico e la visuale spazia tra le cime finalmente innevate delle Alpi Giulie ed il Golfo di Monfalcone.
Sono le nove, il sole ormai comincia a scaldare e quella che si prospetta è una magnifica giornata invernale, con aria limpida e frizzante che invoglia il movimento fisico.

Levo i guanti che avevo sapientemente (e stranamente, visto che non li uso mai !!) portato, partendo dalla considerazione che comunque nella tasca dell’antivento non pesano, e che magari avrebbero potuto servire.
Non fa assolutamente freddo, anzi, comincio a sudare e la zip del giacchino sale e scende come il percorso; meno male che sotto ho le maniche corte.
Il “circuito di Basovizza”, consueta meta di allenamento per molti, è oggi particolarmente frequentato da “podisti della domenica”; per fortuna ben presto la direzione della gara ci separa dalla folla in libera uscita.
La traccia procede zigzagando tra boschi e forme carsiche di superficie: campi solcati, karren e piccoli inghiottitoi si susseguono e rendono il paesaggio piacevole sotto ogni punto di vista.
Procedo bene e senza fatica, percorrendo il nono chilometro ad una media di 5’ 10”/Km.

Nei pressi dell’abitato di Gropada il tracciato riprende per circa quattro chilometri il sentiero 3, risalendo le pendici meridionali del Monte dei Pini.
Dopo circa venti chilometri dal via, in prossimità dell’attraversamento della strada provinciale che conduce al valico di Fernetti, è stato predisposto l’unico ristoro, ben fornito di acqua, the e pezzi di mela. 
Ci fermiamo per qualche minuto (sono stato ripreso dal Trio, dopo averli raggiunti e staccati, ndr.) a chiacchierare con i volontari; io bevo due bicchieri di the e mangio qualche pezzo di mela. 

Riprendiamo a correre. 
Pochi chilometri e siamo sulla ripida strada provinciale n° 9 che conduce all’abitato di Zolla di Monrupino: si profilano due chilometri di salita, che mi sfiancheranno. 
Riesco a correre i primi due-trecento metri, ma ben presto preferisco camminare: è inutile stancarsi proprio adesso, ad otto chilometri dalla fine, quando le salite più dure devono ancora arrivare….ed “il Trio” intanto va….
L’Organizzazione ha fissato un cancello a Zolla, alle ore 12:00: il Garmin segna le 11:50 e sono più o meno a metà della salita, manca quindi ancora un chilometro.
Cammino costantemente a 9’/Km, in teoria dovrei farcela, ma è meglio affrettare il passo.
A cinquecento metri dalla fine della salita il campanile della chiesa comincia a battere mezzogiorno….CAXXO !!….
Spingo più possibile, e spero che le campane continuino ancora per un po’….e che il controllo non sia così fiscale….
Scollino con le campane che stanno ancora suonando, svolto a sinistra e vedo il fuoristrada dell’Organizzazione.
Mentre lo passo la portiera si apre; il ragazzo scende e con il cellulare in mano scruta giù, verso l’inizio della salita....io sono oltre….
Gli ultimi radi rintocchi delle campane, lo sento parlare al cellulare:
Ascolta, è mezzogiorno. Cosa devo fare qua ? Chiudo ?
Sarò l’ultimo a passare il cancello, dopo di me verranno bloccati quindici podisti.

In discesa recupero bene, sono al 25° chilometro ed ho di nuovo “il Trio” davanti a me, a cinquanta metri.


Ma il bello deve ancora venire, visto che l’ultimo tratto e costantemente in salita: cinque bastardissimi chilometri al 5 %, con cinquecento metri di rampa finale all’ 8 %.

Finora è andato tutto molto bene, ho gestito le forze al meglio e sono riuscito a riconquistare posizioni nei pochi tratti in vera discesa; però adesso sono alla resa dei conti, il tempo finale si decide qua.
Al 26° chilometro, mentre corro in un breve tratto pianeggiante, un chiodo incandescente mi entra profondamente nel polpaccio sinistro, almeno questa è l’impressione, e mi fa sobbalzare.
E’ un inizio di crampo, molto doloroso, ma che per fortuna riesco a gestire, e che sparisce dopo una trentina di secondi: forse i Booster hanno aiutato ??

Dieci metri di discesa ripidissima e subito un muro da salire: passo un arrancante trailer e tre bikers.
Il bosco si apre e un chilometro più in là riesco a scorgere l’arrivo, in cima al Monte Lanaro, tra i gazebos dell’Organizzazione; sento lo speaker….OK, ci sono quasi….10’-13’-14’/Km, è dura, durissima, non ce la faccio ad andare più veloce.
Di correre qua non se ne parla, sento le pulsazioni nelle tempie e non vedo l’ora di arrivare.
Ma ormai ci sono, e anche se le gambe sono completamente rigide accenno un ultimo scatto di corsa in prossimità del traguardo.
Arrivo in cima poco dopo l’una,  3h 49’ 49” dopo il via, a 7’ 46”/Km di media.
CHE FATICA !!
ma sono contento, perché il tempo impiegato è dignitoso e decoroso, e in questa splendida giornata invernale ho provato tante bellissime sensazioni.

Una nota di merito va all’ottima Organizzazione, che ha presidiato gli incroci del percorso e che ha fatto trovare i propri ricambi all’arrivo, predisponendo tende riscaldate per svestirsi e cambiarsi, oltre a panini, dolci, bevande calde e fredde.


Ed il buon risultato non può essere festeggiato che con il succo di luppolo, il re degli integratori, ricco di Maltodestrine….


L’anno podistico sembra iniziare bene, testicula tacta….






















>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<



 


Kokoš Trail


 Domenica 11 marzo 2012

Una mattinata frescolina dà il benvenuto all’Edizione zero di questo trail Memorial Virgilio Zecchini che, volendo prendere in considerazione parametri importanti come comodità di raggiungimento della partenza, bellezza del percorso, difficoltà tecniche ed organizzazione pre e post-gara, si preannuncia come uno dei migliori della mia zona.
La corsa prende il nome dal Monte Concusso (Kokoš in sloveno), la più alta cima del Carso italiano, che verrà salito nella parte finale della gara.
Non mi sento troppo in forma, e la conferma l’ho avuta una settimana fa a Gorizia, dove ho faticato non poco.
La giornata però mi ispira, c’è un bel sole e la zona è una delle mie preferite per correre: farò del mio meglio.

Nelle vicinanze all’abitato di Basovizza, frazione di Trieste a quota 300 metri, più di 350 trailer si danno appuntamento alle dieci della mattina di una domenica ancora invernale nelle temperature, ma già primaverile per gli odori e per il rifiorire della vegetazione, per percorrere la distanza ufficiale di 13,5 Km (il Garmin poi segnerà 14,23 Km), con un dislivello positivo di 650 metri.
La partenza è fissata in prossimità del Monumento nazionale della Foiba di Basovizza, per percorrere i primi 600 metri sull’asfalto e poi girare a destra nel bosco, seguendo il primo tratto sterrato.



Dopo due chilometri la visuale si apre sul Golfo di Trieste, 





















mentre si prosegue lambendo il ciglio della Val Rosandra, splendido esempio di canyon montano a duecento metri di quota, in uno scenario divenuto non a caso Parco naturale.

L’affluenza è notevole, come anzidetto, e gli scarsi spazi a disposizione, confinati tra gli alberi che si abbassano sul tracciato e le rocce smosse qua e là, costringono i più a procedere incolonnati, mentre i primi si involano senza apparente fatica.

Il gruppo si allunga e si accorcia, la fisarmonica umana rallenta in prossimità della prima discesa, a tre chilometri dal via; qui il rischio di caduta è elevato a causa della presenza del fondo marnoso, friabile, che obbliga a prestare particolare attenzione.



Dopo circa un chilometro la discesa termina e si è in Valle, per percorrere un altro chilometro lungo la ex linea ferroviaria Trieste-Erpelle (ora ciclabile), fino a girare decisamente a sinistra per affrontare, al quinto chilometro, il tratto più ripido e più duro del percorso: mille metri estenuanti che riportano sull’altipiano, sulla cima del Monte Stena, a 440 metri di quota.


E’ un tratto davvero molto faticoso e si comincia a "contare le prime vittime".



Quando finalmente spiana, le gambe sono indurite dalla salita e ci vuole un po’ per riprendere a correre decentemente.
Il percorso prosegue in falsopiano all’interno di un bosco, attraversa un paio di strade asfaltate e dopo circa tre chilometri intercetta la Statale che conduce al valico di Pese, dove è stato predisposto un punto di ristoro.
Sono oltre la metà del percorso, finora ho gestito abbastanza bene lo sforzo, nonostante la scarsa preparazione fisica e la dura salita; riesco ancora a controllare bene le gambe e sono rinfrancato dal vedere che comunque non ho troppo ritardo rispetto al gruppo.
Si risale ore la pendice meridionale del Monte Concusso.
Il sentiero porta alla cima, 670 metri di quota, che segna la fine delle fatiche maggiori; da adesso in poi tanta discesa, divertente, tra gli alberi, saltando da un masso all’altro.

Discesa che è il mio forte, perché la sensazione è quella di volare, e che affronto con grande entusiasmo ed elevata velocità, compiacendomi dei sorpassi che riesco ad effettuare.
Purtroppo però non tutte le ciambelle riescono con il buco ed un salto mal calcolato mi fa sbattere la punta del piede sinistro su una roccia sporgente, quasi inciampando.


Riesco a stare in piedi per miracolo, ma porterò per lungo tempo l’unghia dell’alluce annerita come ricordo di una discesa forse un po’ sottovalutata nei suoi tratti più tecnici, affrontata comunque con eccessiva disinvoltura.
Per tre minuti vedo le stelle in cielo anche se splende il sole, ma mi sforzo di continuare la corsa, perché valuto che fermandomi sarebbe poi impossibile riprendere a correre.
Gli ultimi due chilometri pianeggianti sembrano non finire più, e, claudicante, sogno il traguardo dietro ogni curva del sentiero.
Finalmente si profila il campo sportivo con l’arrivo, un ultimo sprint e ci sono.
Tempo impiegato 1h 59’ 08”; ho perso molte posizioni in salita e nel tratto finale.

Il dopo gara è piacevole e corroborante, a base di jota e birra artigianale.
E naturalmente ci sono le premiazioni, ma di fronte a questo ben di Dio gastronomico è una gioia non essere tra i primi per godere una seconda volta di un piatto di tale bontà.
































>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<


Lanaro Granfondo

  


  12^ edizione

Domenica 20 gennaio 2013


….ribattezzata “Lanaro Granfango”, visto e considerato l’ esagerata presenza di questo elemento, con passaggi degni della prova di ammissione nei Rangers, in Cambogia, lungo il Fiume Mekong.





Sabato pomeriggio ritiro il pettorale per me e per Davide, con il quale ho appuntamento alle 8:30 di Domenica, sotto casa.
C’è fila per il ritiro, mista di trailers e bikers, una cinquantina di persone, e ci sono due gocce di pioggia.
Aspettiamo tutti pazientemente, senza accennare segni di nervosismo, ed il mio pensiero va veloce a quando la fila devi farla davanti a qualche ufficio pubblico, o magari al Bancomat, oppure in altre occasioni, di certo meno piacevoli di questa.
Quelle volte ci si ammassa, volano parole grosse ed è inevitabile litigare con i soliti furbi che vogliono passarti davanti.
Qua invece, quattro e mezza del pomeriggio, imbrunire, umidità, un accenno di pioggia, ma nessuno sbraita.
In ordine sparso, non un parvenza di fila incolonnata, nessuno che spinge, ognuno, rispettoso dell’altro, sta al suo posto ed avanza solo quando deve farlo.
Non un ombrello aperto, non devi schivare le stecche di quello davanti a te che quasi ti entrano negli occhi e non devi spostarti perché le gocce d’acqua di quello dietro ti scendono giù per il collo.
Tutti girati, per vedersi di faccia e parlare sorridendo, senza curarsi se il proprio turno verrà rispettato: che siano un po’ speciali, gli sportivi??
Io voglio ancora crederlo, quella dello sport (quello vero, praticato, non quello da divano) è una delle poche oasi rimaste.

Domenica alla partenza non fa freddo, ci sono circa sei gradi, e sembra scongiurato il rischio di dover correre nella bufera.
Almeno per il  momento.
Mi sembra di essermi vestito “giusto”, un primo strato tecnico aderente (anche troppo), maglia tecnica a maniche lunghe, pantaloni a tre quarti, antivento, berretto e booster, che comincio ad apprezzare sempre più.
Ieri là in fila, mentre parlavo con Davide, trailer genovese, triestino d’adozione, che ho conosciuto sul  momento, stavo un po’ riconsiderando la mia partecipazione a questa gara.
Ieri gò fato la ciclabile in bici, xè neve zà a Pese” (sono stato ieri sulla ciclabile, già a Pese c’è neve); “Mi iero in circuito a Basoviza, xè tuto un ploc” (sono stato a Basovizza, è pieno di fango); “Son ‘ndà l’altroieri sul Lanaro, xè cinquanta centimetri de neve” (l'altroieri sul Monte Lanaro c' erano cinquanta centimetri di neve).
Questi erano i commenti che giravano, e pensando al mio stato di non-forma, ai soli 38 chilometri percorsi in tutto il mese di dicembre, ai 20 di gennaio….a quanto faticoso sia correre sul fondo pesante, valutando il passaggio per un pelo al cancello dell'anno scorso (ed ero discretamente allenato), al fatto che l’abbiano allungata di tre chilometri….ma non è che forse sto facendo la prima caxxata sportiva del 2013 ??


Comunque parto, tra mille ripensamenti: e che saranno mai 33 chilometri e 800 metri di dislivello positivo ?!?!


Arrivare a Mezzogiorno al cancello sa un pò di “missione impossibile”, sarebbe un vero sogno riuscirci; metto quindi in conto che potrei dovermi ritirare, prima o dopo il cancello.

Rimango con gli ultimi, non ho di certo una tabella di marcia da rispettare; tuttavia, nei giorni scorsi, mentre mi studiavo il tracciato, leggermente modificato nella sua seconda metà, ho calcolato che con un ritmo massimo di 7’/Km arriverei a Zolla di Monrupino, al cancello, alle 12:00.
In teoria dovrebbe essere abbastanza facile, proviamoci !!

Inizio a 6’ 30”/Km, passo che mantengo per tre chilometri.
Quasi senza rendermene conto sto però procedendo in modo non lineare, cercando a terra i tratti di ghiaino, per evitare i mucchietti di neve ghiacciata che cominciano ad apparire.
Qualche schizzo di neve sciolta comincia ad arrivare sulla tomaia delle scarpe ed avverto il freddo sulla parte superiore dei piedi.
Al quarto chilometro sono già oltre i 7’/Km, al quinto, al termine della Val Rosandra, addirittura oltre gli 8’/Km.

Fin qui una leggera e costante ascesa, ma ora inizia il primo vero impegno: la salita di circa un chilometro che porta a Pese, pendenza media del 13%.


Non si riesce ad evitare l’acqua che scorre veloce e che trasforma in pantano l’intero sentiero, i piedi sprofondano diventando improvvisamente fradici, completamente zuppi di acqua ghiacciata….bene, adesso non serve più preoccuparsi di evitare i tratti bagnati per rimanere asciutto, un pensiero in meno.
Inizia anche a piovere un po’.


Sono a 480 metri di quota, da qua in poi ci sono 8,5 Km di falsopiano, salendo i 470 metri del Monte dei Pini, e poi giù fino quasi al ventesimo chilometro, per raggiungere il punto di ristoro a quota 310 metri.



Al quattordicesimo chilometro raggiungo un gruppo intento in un ristoro “privato”, una decina di persone, che mentre passo salutando mi offre del cioccolato: “Grazie, molto gentili, ma non posso fermarmi, la mia prestazione ne risentirebbe….” - ironizzo.
Il gruppetto riparte praticamente mentre arrivo io e procediamo insieme per un paio di chilometri.
Sul tratto in discesa riesco a distanziarli, le discese sono davvero il mio forte, ma mi raggiungono appena il sentiero si inasprisce un po’.


Ci si ritrova tutti assieme al ristoro, con panettone e the (quasi) caldo.
Fin qua ho impiegato due ore e trentacinque, al ritmo medio di 7’ 52”/Km, decisamente oltre al limite che mi consentirebbe di passare il cancello; infatti sono le 11:50 e mancano quattro chilometri abbondanti…nemmeno volando…ma l’avevo già messo in preventivo.

Mentre mestamente sorseggio il the, annegando la tristezza del mio primo ritiro nella dolcezza del panettone, qualcuno nel gruppo chiede quanto manca al cancello.
Non ce la facciamo” – dichiaro io, cupo – “mancano dieci  minuti….
Non preoccupatevi” – rilancia il ragazzo del ristoro.
Abbiamo tenuto conto delle condizioni ambientali ed abbiamo spostato il cancello di mezz’ora, ce la fate !!
Ma che bel regalo !! Avanti così !!
Arriva il ventesimo chilometro, la distanza massima percorsa per me negli ultimi mesi, esattamente due settimane fa: per trovare una distanza superiore devo andare indietro fino ad Aprile 2012….
Eh sì, la mancanza di allenamento si sente, sono già discretamente stanco.
Dopo un paio di chilometri arrivo alla strada che conduce a Zolla, una lingua d’asfalto di due chilometri in costante salita che prova davvero la testa, oltre che il fisico.
La pioggia va e viene, ma adesso inizia a piovere sul serio e me la becco tutta, all’aperto, senza un albero sotto al quale nemmeno passare.
“L’incubo d’asfalto” finalmente finisce e alle 12:25 scollino, salutato da una voce senza volto che esce da un cappuccio giallo, sopra un poncho impermeabile ugualmente giallo, reso lucido dalla pioggia.
Ragazzi, che stanchezza !!

Dopo circa un chilometro, ad un improvvisato quanto provvidenziale ristoro, due giovani mi offrono del the (questa volta un po’ più tiepido….):
Se finisci questa puoi farti anche la Marathon des sables !!” – mi fa porgendomi il bicchiere.
Non fa per me, troppo caldo. Comunque, già che mi stuzzichi, ci penso….
Altro che caldo, qua comincio a sentire freddo, sono fradicio e durante i due chilometri di salita, rigorosamente al passo, ho ceduto tanta temperatura.
Intanto non smette di piovere, anzi, ogni tanto arriva uno scroscio più forte; ma fra un po’ si rientra finalmente tra i boschi, almeno potrò ripararmi un po’.
Al ventiseiesimo chilometro manco una svolta, ma per fortuna me ne accorgo già dopo un centinaio di metri: stavo infatti aspettando un cambio di direzione, il mio senso di orientamento mi comunicava una svolta a destra, verso nord, viceversa mi sarei trovato fuori zona.


Ormai da un chilometro è ricominciata la salita, decisa, e così sarà fino al traguardo.
Sento sempre di più la stanchezza, perché è sempre più forte la sensazione di freddo che provo, camminando in salita non riesco a scaldarmi.
Ho le mani colorate di un rosso vivo, ghiacciate (e mi sembrano anche un po’ gonfie….).
Ricordo di avere con me i guanti, nella tasca interna dell’antivento, e faccio per prenderli; no, inutile indossarli, sembrano due spugne zuppe.
Mi accorgo della bottiglietta d’acqua nella quale stamattina ho sciolto l’integratore, me ne stavo quasi dimenticando. Avevo ritardato di bere per lasciarmene di più verso la fine, ben sapendo che se fossi riuscito a passare il cancello ne avrei avuto bisogno.
Bevo camminando, schivando le pozzanghere, tanto ormai il tempo non importa più, ma voglio comunque arrivare alla fine.
Tiro fuori il cellulare per comunicare a casa che non vengano a prendermi, non voglio che prendano tutto questo freddo.
Con il confine a poche decine di metri di distanza, il roaming imperante e la batteria al 2% di carica (ho scoperto che il freddo la fa scaricare….) riesco a malapena a mandare un SMS, digitando a fatica sui tasti “state a casa, troverò un passaggio”.

Salita, stanchezza, fango, acqua….devo spesso fermarmi, le pulsazioni aumentano vertiginosamente….il Garmin segna 26 Km e 70; 26 e 90; 27 e 20….questo tratto nel bosco è interminabile, faticosissimo.
E’ una parte del sentiero n° 3 che dovrei identificare abbastanza bene, ma che in questa stagione sembra così diverso dal solito, irriconoscibile, mascherato dalla neve, a tratti nascosto dalla nebbia.
Poco prima del ventottesimo chilometro ci sono seicento metri di discesa, la manna dal cielo !!
Riaccenno una timida parvenza di corsa, irrigidito dal freddo ed appesantito dalla fatica, ma dura poco, perché la salita riappare, in tutta la sua durezza.
Se qua all'incrocio prendo giù a sinistra, in un quarto d’ora sono al parcheggio, magari trovo qualcuno che mi dà un passaggio….beh, dopo quattro ore e due minuti in queste condizioni potrei anche farlo….” – penso.


NON ESISTE !!” – tuona lo sportivo che c’è in me, facendomi girare la testa dall’altra parte.

Ancora cinque interminabili chilometri, per fortuna su un terreno migliore, ma con ancora fango, pioggia, nebbia e tanto freddo, acuito dal corpo ormai completamente bagnato e dalla quota, che via via aumenta.
Incontro gente con il pettorale che scende, con in mano il sacco con il cambio, lasciato alla partenza e portato in cima dall’Organizzazione. E’ evidente che in queste condizioni è inutile cambiarsi, perché a farsi i quattro chilometri fino al parcheggio ci si sporcherebbe di nuovo.
Trentesimo chilometro, il Garmin mi comunica che sono a tre chilometri dalla fine.
E’ sempre più dura, adesso faccio fatica anche a mettere un piede davanti all’altro per camminare, a volte perdo l’equilibrio.
Estraggo dal giubbotto una barretta che si rivela dolciastra, mielosa e che fatico quasi a masticare a causa del viso “anestetizzato” dal freddo, ma che mi farà senz’altro bene (93 Kcal): il suo nome, “Fitness”, è sinonimo di garanzia (o di ironia ??).
Forza, ormai è fatta, ci sono, vedo finalmente le tende sferzate dal forte vento !!
Alle 13:58 raggiungo l’arrivo, a 544 metri di quota, dopo 4 ore e 43 minuti dalla partenza.


Dalla prima tenda esce un “BRAVO !!
Realizzo che all’interno siede un intirizzito cronometrista, davanti a due computer portatili, e mi apro la zip dell’antivento per mostrare il pettorale ed ufficializzare così il mio arrivo.
Riconferma il “BRAVO !!”, anche se io, sgomento, gli faccio notare che ho impiegato quasi un’ora più dell’anno scorso e che magari sono stati più bravi quelli che oggi se ne sono rimasti a letto, sotto il piumone.
Quelli li hai già battuti alla partenza” – fa lui – “così come hai battuto quelli che si sono ritirati e quelli che devono ancora arrivare !!
Incredulo lo ringrazio, più per cortesia e per la fretta di entrare a ripararmi sotto l’altra tenda, riscaldata, che per vera convinzione.
All’interno dei sei metri quadrati altri, al pari mio, pazzoidi, tanti “eschimesi” attorno alla stufa, a mangiare e bere, raggomitolati come gatti attorno al termosifone.
I tre panini, la birra e quella manciata di gradi sopra lo zero mi rimettono in sesto, ma non so per quanto ancora avrei potuto continuare.

A costo di autoincensarmi, devo dire che in questa occasione mi sono proprio piaciuto, e, per dirla proprio tutta, mi è piaciuta la tenacia e la determinazione con la quale ho portato a termine la prova, a fronte anche della mancanza totale di allenamento.
In ogni caso il “BRAVI !!” va anche a tutti gli altri che, al pari mio, hanno portato a termine quella che dalla stessa Organizzazione è stata definita come la più dura delle edizioni finora svolte, non dimenticando gli sforzi organizzativi e le fatiche dei volontari, con il Gruppo Vulkan all’altezza come sempre.
Cosa mi rimarrà di questa gara, che è stata una prova “mentale” più che fisica ?
Una grandissima soddisfazione, un sentirsi “più forte” ed una rinnovata voglia di correre, ma soprattutto….

tantissima roba da lavare.




>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<



Trail del Collio



1^ edizione
Domenica 7 aprile 2013

La patria del vino bianco ha tenuto a Battesimo l’edizione zero di questo bel Trail, che ha visto una massiccia partecipazione di trailers italiani e stranieri, per un totale di ben 1.200 iscritti.
Tre tracciati per tre diversi impegni: un mini-trail di 7 Km, un percorso da 11 Km con 300 m D+ ed un altro di 25 Km con 600 m D+.
Decido per la distanza lunga, anche se la mancanza totale di allenamento non mi permette di aspirare a chissacchè, e la “gara” che mi accingo ad iniziare sarà perciò ultimata (spero) rigorosamente a “ritmo panzetta”.
Approfitto dell’evento ed organizzo un’uscita in famiglia, buttando giù dal letto la truppa alla solita ora, tra mugugni e lamentele di chi all’aria fresca del mattino preferirebbe continuare con il tepore del piumone.

Il mio profondo “senso per il ritardo” predomina anche questa volta e mi consente di arrivare a Cormons alle 9:25, esattamente cinque minuti prima della partenza.
Mollo la macchina e corro a ritirare il pettorale….provvedendo così al riscaldamento…. ehm….
Alle 9:30 sto spillando il pettorale….perfetto, in orario….accidenti lo sparo!! Grazie a Dio sono chino, non mi ha preso….
In una Piazza nella quale regna la desolazione inizio a correre….dalla parte opposta: per fortuna mi avvisano per tempo, dopo qualche centinaia di metri.
Finalmente dalla parte giusta, inizio a sorpassare gli ultimi partiti, che camminano.
La mattinata è molto ventosa, anche se uno splendido sole primaverile allontana decisamente i rigori invernali ed accarezza la pelle delicatamente.

Dopo circa quattro chilometri rettilinei si cambia direzione e si entra nel bosco, lasciando la strada asfaltata.


Si procede per circa cinque chilometri in un continuo saliscendi, con un breve tratto d’asfalto e nuovamente nel bosco.
Gli alberi sono ancora spogli e le ultime piogge hanno creato accumuli qua e là.



Le salite rompono il passo; riesco a raggiungere la coda del gruppo, famiglie con figli e passeggini impegnati nel percorso breve, comune per questa parte del percorso.
Al ristoro mi fermo poco, giusto il tempo necessario per agguantare un paio di biscotti ed un bicchiere di thè.



Giù a destra il paese di Cormons appare già ben sveglio e risplende in tutta la sua luce.



Riprendo deciso a correre in questo tratto in discesa, lasciandomi alle spalle i non agonisti e raggiungendo gli ultimi della competitiva.



Là in fondo si può scorgere la neve, sulle Alpi Giulie, mentre si attraversa il Bosco di Plessiva, splendida oasi naturale, procedendo decisi verso Nord.



Gli scorci che si susseguono sono notevoli: conosco abbastanza bene la zona, anche se non ci ho mai corso, e devo dire che passare di qua in questa stagione, quando la natura si sta risvegliando dal torpore invernale, è davvero molto bello.




Ripida discesa per attraversare la Strada Statale di Plessiva; altrettanto ripida, e, per fortuna, breve salita per tornare in quota.
Sono oltre la metà del percorso, ho raggiunto e superato molti trailer, alcuni dei quali particolarmente affaticati.
Scambio due parole con una coppia inglese, mentre un lungo rettilineo mi suggerisce di risparmiare il fiato per la corsa.



Cambio di direzione e brusca svolta verso Sud-Ovest, piccolo ristoro ed altra decisa salita.
- “A quanto siamo ??
- “Il mio Garmin segna 20 Km” – rispondo.
Questi due chilometri dritti sparati sono estenuanti e sembra di essere fermi….se non fosse per gli altri che mi corrono davanti, dandomi un riferimento spaziale in questo tratto “monodimensionale”, l’istinto sarebbe quello di fermarsi.


Tutto intorno i brulli filari mi guardano, silenziosi e contagiosi nella loro pigrizia.



Manca ormai poco; adesso si inizia a scendere, all'inizio su un pezzo asfaltato e poi ancora per sentieri.
Appena prima di entrare in paese, una lunga e melmosa discesa rovina la poesia che fin qua regnava, obbligando a camminare ai lati del sentiero, per quanto possibile, in un inutile tentativo di evitare il pediluvio.



Decisamente stanco, raggiungo un omone che poco prima mi aveva sorpassato, incitandomi, ed insieme percorriamo un centinaio di metri.



Il suo allungo finale però mi brucia e gli permette di tagliare il traguardo un secondo prima di me, che finisco in 2h 46’ 38”, nel pieno rispetto del ritmo che mi sono, mio malgrado, imposto.
Non resta altro da fare che bere qualcosa....




prima di iniziare il solito bel mega-lavaggio


Alla prossima !!