"La scuola di guerra della vita", Friedrich Nietzsche:

Quel che non mi uccide, mi rende più forte"

(Friedrich Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, 1888)

"Se dopo aver accompagnato tuo figlio in palestra, aspettando seduto nello spogliatoio e pensando alla gara del giorno prima, con la calcolatrice del cellulare cominci a calcolare:

- a che passo avresti dovuto correre per arrivare cinque minuti prima;

- che tempo avresti fatto se ai 10 chilometri fossi arrivato ad una media inferiore di 5 secondi al chilometro;

- a che media affronterai la prossima gara volendo migliorare il tuo PB di almeno 10 minuti

allora le possibilità sono due: o sei un runner o sei cerebroleso, e non è detto che una escluda l'altra....”
(orzo)
....certo che noi runners siamo proprio strani....
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mercoledì 7 dicembre 2011


Sentiero CAI n° 3
Cavalcata carsica




Domenica 4 dicembre 2011

E’ con non poco timore reverenziale che mi accingo a scrivere questa pagina, affrontando l’argomento trail con tutto il rispetto che esso merita.
Gia, perché questa “gara” di trail è stata la mia prima esperienza in tal senso….a meno che ad esso non si vogliano assimilare le lunghe discese di corsa dall’Altipiano del Canin e dai suoi Abissi, magari sotto la pioggia, alle macchine posteggiate a Sella Nevea, 1.000 metri più in basso, con zaino(ne) in schiena e sacco speleo di traverso sopra ad esso, tenuto con le due mani, una di qua ed una di là, all’altezza delle orecchie.
Scarponi ai piedi, il sole che oramai se ne stava andando, si concludeva così l’ultima “punta” (esplorazione speleologica volta ad approfondire il già noto Abisso, ndr), fradici, in arretrato di sonno e con venti ore di esplorazione alle spalle.
Se il trail è paragonabile a quelle discese e ad altre salite ancora, beh, allora ne ho già fatto parecchio.

Ho virgolettato la parola “gara” perché essa non sembra coincidere con lo spirito che anima questa corsa che ogni anno, la prima domenica di dicembre, si svolge sull’Altipiano carsico unendo l’abitato di Pese, alla quota di 470 metri in Provincia di Trieste, con quello di Jamiano, quota 45 metri, in provincia di Gorizia.
Cavalcata carsica, una “gara non gara” che ufficialmente non esiste, non essendo pubblicizzata su nessun manifesto o sito web.
E’ nata 24 anni or sono dalla felice intuizione di quattro amici, Rudy Geic, Armando Germani, Virgilio Zecchini, purtroppo scomparsi,

 
(foto atleticats.com)
e Claudio Sterpin,
Presidente del Marathon Trieste, podisti, escursionisti ed alpinisti, che, in un tentativo ante litteram di abbattimento della Cortina di ferro, iniziarono a percorrere di corsa, quasi una forma di protesta, la traccia nei boschi lungo il confine di Stato, appena al di qua di esso.
Una manifestazione sportiva in totale “anarchia”, senza gonfiabili a segnalare la partenza né l’arrivo, senza pacchi gara, ristori, pettorali o micro-chip.
Per parteciparvi è sufficiente presentarsi alle 7 a Pese, dare il proprio nome ed affrettarsi alla partenza….tutti insieme, in un improbabile amalgama di podisti, speleologi/alpinisti, escursionisti e trailers di ottimo livello, con l’intento di arrivare al traguardo qualche ora più tardi e chiudere così ognuno la propria stagione sportiva.
Il tracciato percorre integralmente il segnavia CAI n° 3, cinquantatre chilometri di sentieri, carrarecce e tracce nel bosco in continuo saliscendi che ammontano a millequattrocento metri di dislivello positivo, toccando i monti Concusso, Orsario, Lanaro ed Ermada, con una quota massima raggiunta prossima ai 600 metri.
E’ obbligatorio non distrarsi, sia per il fondo a tratti estremamente irregolare e che presenta salti di trenta-quaranta centimetri, con roccia scivolosa e fango, sia per la presenza a volte nascosta di diramazioni poco evidenti, il più delle volte celate o comunque non sempre troppo visibili.

Fin qui i miti e le leggende che in questi anni hanno avvolto questa manifestazione e che, da quando ho ripreso a correre, mi hanno affascinato: trail di casa nostra che nulla ha da invidiare ad altri più blasonati ed al quale non posso mancare, ma al quale per due anni di seguito ho già dovuto rinunciare, per impegni già presi o per motivi di salute.
Ma quest’anno non me lo lascio scappare, voglio concludere in gloria il mio anno sportivo ed arrivare di corsa a Jamiano ad ogni costo, entrando in questa leggenda.
Parola d’ordine: autosufficienza, almeno per quelli che, come me, non possono sperare in aiuti per avere del thè caldo, generi di conforto e vestiario asciutto lungo il percorso.
Nei 53 chilometri di sviluppo, i soli borghi carsici che si incontrano sono Grozzana, un paio di chilometri dopo la partenza, Zolla di Monrupino e Medeazza, a quattro chilometri dall’arrivo, mentre le sole strade asfaltate che si attraversano sono quelle che conducono ai valichi confinari di Basovizza, Fernetti e San Pelagio, unici punti nei quali si può essere eventualmente raggiunti e supportati da parenti e amici.
Mi organizzo quindi al meglio, consapevole anche del fatto che, essendo la prima volta che mi cimento in questa impresa, potrei avere difficoltà nel trovare la traccia giusta e che, di conseguenza, i tempi di percorrenza potrebbero allungarsi notevolmente.

Passo la sera di sabato a preparare quello che mi servirà l’indomani:


 200 g di miscuglio di formaggio grana, uvetta e noci,

una pseudo-barretta energetica, due dolci al cioccolato ripieni di cocco (simil-Bounty), un gel, una mela già tagliata in quattro spicchi, un litro d’acqua e tre bustine di integratore di sali che domani, aspettando il caffè, verserò in mezzo litro d’acqua.
E poi, visto che “non si sa mai”, due fasce elastiche, cerotto, qualche compressa di garza, un telo termico e la giacca impermeabile….manca ancora la frontale, poi potrei andare a farmi l’UTMB….


C’è posto ancora per due paia di calze e poi….come non mettere anche un paio di scarpe ??….già, anche quelle….
E non ci sta male nemmeno un biglietto del bus, nel caso l’avventura sia destinata a finire anzitempo.

Peso totale dello zaino: 4 Kg….tutto sommato accettabile.






Alle 6:55 parto da casa con Grazia, Chiara e Danilo, con la macchina di Chiara, che rimarrà a Pese fino alla sera; il camper di Danilo è già posteggiato a Jamiano e con esso torneremo a Pese.


Dopo circa venti minuti siamo alla partenza, assieme ad altri amici, molti volti noti e qualche decina di trailers provenienti da altre Regioni: in tutto siamo in 102 partecipanti.
L’ incantesimo del momento fa sì che geologi, avvocati ed ingegneri partano fianco a fianco con operai, idraulici ed elettricisti, tutti uguali a faticare ed a sbuffare insieme, accomunati dalle endorfine che di là a poco circoleranno vorticosamente nel sangue….magia dell’ambiente sportivo.
Ci sono Stefano e Marco, alpinisti degli 8.000, Roberto, mezzofondista “anni ‘70”, Lorenzo, sci-alpinista, il mio collega Stefano, maratoneta, e chissà quanti altri ancora che nella confusione del momento non riesco a scorgere.

C’è molta nebbia, il sole non è ancora sorto, ma non fa freddo e non è prevista pioggia, meno male.
Decido di partire comunque “in lungo”, ben sapendo che di là a poco soffrirò il caldo, ma ho già previsto una prima sosta per levare i pantaloni lunghi e la maglia tecnica con le maniche lunghe.
Noi quattro ci siamo un po’ attardati alla macchina e quando arriviamo di corsa alla partenza non c’è quasi più nessuno.
Il Garmin stenta ad agganciare i satelliti, cominciamo bene….stiamo già correndo e stufo di aspettare premo “start”, mentre abbiamo fatto quasi un chilometro.
Parto quindi insieme a loro, ma all’approssimarsi dei primi tratti in salita mi accorgo che non riuscirò a tenere a lungo il passo e dopo un paio di chilometri, complice una fitta nebbia, li perdo di vista definitivamente.
Poco dopo il terzo chilometro faccio il primo sbaglio della giornata e manco l’incrocio, continuando in salita per un centinaio di metri, andando avanti e indietro per un paio di volte prima di accorgermi dell’errore e ritornare sul sentiero giusto, perdendo una decina di minuti.

Breve tratto a mezza costa ed inizia la prima vera discesa, molto ripida e da affrontare con cautela, visto il fondo fangoso e le rocce scivolose presenti.
Ahia, la caviglia !!
Già, quella brutta distorsione di quattro anni fa ha lasciato il segno, non sono stati sufficienti tre mesi con la gamba orizzontale per risolverla.
Ogni volta che ci atterro sopra in discesa fa un po’ male, specialmente se il peso è posto leggermente fuori asse….ma non è niente di preoccupante, mi ci abituerò….c’è chi convive con dolori ben più grandi di questo.
Al termine della discesa, lunga circa un chilometro, ecco il primo attraversamento stradale, la provinciale che conduce al valico di Basovizza.
Il sentiero prosegue adesso pianeggiante per tre chilometri, risalendo poi le pendici del Monte dei Pini con la sua stupenda vegetazione.
Adesso esce il sole e comincia a far caldo: mi fermo a mangiare un po’ di cioccolata e ne approfitto per levarmi maglia e fuseaux.

I primi tra i ciclisti, partiti mezz’ora dopo i trailers, si stanno avvicinando: qualcuno comincia ad avere dei problemi e riparte dopo avere sistemato una ruota.
Qua i tratti in single-track si percorrono molto bene ed è difficile sbagliare percorso.

Si scende quindi il Monte dall’altro versante e si prosegue in direzione di Fernetti.

E qui, attorno al 14° chilometro, sbaglio di nuovo.
Me ne accorgo per fortuna abbastanza presto, perché il sole “si è spostato” troppo rispetto alla direzione che devo tenere, ce l’ho quasi in faccia; fra andata e ritorno perdo comunque quasi dieci minuti.

Il paesaggio è sgombro da alberi; sono presenti solo bassi arbusti ed erba secca e si prosegue sempre in piano per altri due chilometri circa, fino ad arrivare nei pressi del valico di Fernetti dove si percorrere un segmento di asfalto.
Fin qui tutto bene, sbagli di strada a parte, ma ora mi aspetta la salita del versante meridionale del Monte Orsario, particolarmente ripido, ed è inutile fare gli eroi, meglio cominciare a camminare .
Ci sono un paio di saltini di roccia di ottanta centimetri di altezza da superare aiutandosi con le mani e i ciclisti cominciano ad incontrare le prime vere difficoltà.
Sorpasso quelli che mi avevano superato nella prima discesa e nei tratti pianeggianti, adesso le sorti si sono invertite, e non li invidio.
Le roccette finiscono ed il sentiero torna pianeggiante, anzi in leggera ma costante discesa, diretto verso Zolla di Monrupino, dove riprende un tratto asfaltato.
Scherzo un po’ con dei supporters di qualche altro trailer (“ma io a voi vi ho già visto….”), incontrati a Grozzana ed a Fernetti, gli altri punti raggiungibili in macchina.
Ho percorso una ventina di chilometri, finora in assoluta solitudine, ciclisti a parte, e non essendo mai passato da qua comincio ad avere qualche dubbio, anche perché è da un po’ ormai che non vedo più il numero 3 sui muretti a secco.
Scendo lungo la strada per cento metri….risalgo, non sono convinto.
Scendo di nuovo, cercando qualche indizio, ma non vedo niente, solo strada asfaltata che corre tra i campi….risalgo.

Entro per qualche metro in paese e per fortuna scorgo due abitanti, ai quali chiedo se hanno visto passare qualcuno, di corsa o in bici.
No, nessuno, almeno da mezz’ora a questa parte
Mi fido e riprendo a correre in discesa, fiducioso che prima o poi “qualche numero 3” apparirà….e così è !!
Altri dieci minuti abbondanti persi !!
Fra “cambio abito”, incroci sbagliati ed una paio di soste per bere un pò d’acqua ho già impiegato più di tre ore, e non sono nemmeno a metà….
Riesco comunque a correre ancora tranquillo, su questo tratto di asfalto che fila dritto verso nord, fino a quando, al 22° chilometro, la strada esce dalle case del paese a piega bruscamente ad ovest.
E sono praticamente certo di aver sbagliato di nuovo….nessun numero 3, una garritta di confine, qualche altro indizio che non sono più in Italia, come mi viene confermato da un contadino in giro con il suo cane.
Però la direzione è questa, senza ombra di dubbio….e scrutando bene sul muretto a secco ritrovo “il piccolo numerino magico”.

Mi tranquillizzo ed entro nel bosco; adesso la fatica inizia a farsi sentire, oltre a tutto inizia un tratto di saliscendi che taglia il passo….rallento, mi fermo e mangio una manciata di formaggio, uvetta e noci, alimento dimostratosi strategico, caldamente consigliato.
Rimonto le pendici meridionali del Monte Lanaro, praticamente sempre al passo, fino ad arrivare in cresta: sono più o meno alla metà del percorso totale.
Mangio ancora qualcosa, un sorso di sali, due-tre di acqua. E già che ci sono faccio una foto.

Macchie di latifoglie con tappeti di fogliame rosso e giallo si alternano a boschi di conifere dall’alto fusto, con i tronchi ben spaziati uno dall’altro.
Da qua in poi è netta discesa, ormai i maggiori tratti di salita sono terminati ed il percorso è sufficientemente chiaro, pur con qualche eccezione….
La stanchezza adesso si sente, eccome: pause sempre più frequenti, tratti al passo anche sul terreno pianeggiante, scarsa prontezza delle gambe nell’evitare i sassi sul sentiero e le radici degli alberi che spesso vedo all’ultimo momento, mimetizzate tra il fango e le foglie cadute.
NON MOLLARE !! FORZA !!
Non mollo proprio, non ho nessuna intenzione di farlo !! Devo però stare attento a come procedo.
Quel paio di decenni di speleologia mi ha insegnato a non ridurmi a zero di energie ed a mantenere sempre una riserva di resistenza: a molte ore di distanza dalla superficie e ad un migliaio di metri di profondità, rimanere senza forze poteva voler dire morte certa….scuola di vita, addestramento che può levare da qualche brutto impiccio e che ho sempre vivo in me.

Sto correndo da solo ormai da quattro ore e mezza e provo un inverosimile senso di libertà.
Dal 26° chilometro il tracciato si svolge decisamente in discesa, in una zona che è la più selvaggia e lontana dalla civiltà. Spettacolare !!
Il colore cupo e profondo del bosco incute assoluto rispetto e stimola la mente a viaggiare libera.
In essa si susseguono veloci migliaia di pensieri e di riflessioni, alcuni risultanti dall’attività che sto svolgendo, altri che non c’entrano niente e che senza nessuna logica si fanno spazio tra i neuroni cerebrali.
E’ incredibile accorgersi di quante cose possono passare per la mente, e quanto assurde e sconclusionate esse possano essere.
Lavoro, famiglia, sport….sport va con tempo libero, ma la famiglia ed il lavoro invece no….già, difficile conciliare tutto. Com’è buono l’odore del bosco….strano, con tutto quello che ha piovuto ieri, qua per terra è asciutto. Domani devo telefonare al tipo, mi deve dare quei dati che gli ho chiesto per quell’ultimo lavoro….
Al 29° chilometro le gambe riprendono un po’ a girare, grazie anche alla continua discesa, che agevola; il sentiero adesso si è allargato di parecchio ed è diventato una comoda carrareccia ricoperta da ghiaino sulla quale si procede spediti senza troppo sforzo.
Sento in lontananza il rumore delle macchine, passo accanto ad un recinto con due cavalli bianchi, senza rendermene conto ho perso più di cento metri di quota.
Rallento perché c’è qualcosa che non mi quadra….comincio a vedere delle case…. cartelli turistici che indicano degli agriturismo….rifletto e non ricordo più quanto tempo prima ho notato l’ultimo 3….cammino….45, sentiero 45 !!!! e chissà dove ho mancato l’incrocio giusto !!!!

A dire il vero il fatto mi demoralizza parecchio e mi passa per la mente l’idea di prendere l’autobus e tornarmene a casa….ma quassù è troppo bello, e tutto sommato è un peccato non arrivare alla fine.
Apro lo zaino e mi fermo, approfitto di questo ulteriore errore per mettere qualcosa sotto i denti e per bere un po’ di integratore, e riparto, con nuova energia e rinnovata fiducia nelle mie forze.
Stabilisco che a questo punto, avendo perso tanta quota, è inutile ritornare indietro per cercare un bivio che comunque non conosco perché non ho mai visto, e decido quindi di proseguire su questo sentiero che prima o poi mi farà incrociare il 3.
Tempo perso direi mezz’ora e strada percorsa in più un paio di chilometri.

Finora, in sei ore e un quarto di strada, non ho superato nessuno a piedi, eccezion fatta per un signore che ho passato al terzo chilometro e che senza troppe ambizioni cronometriche procedeva con i bastoni da nordic walking.
Da qualche chilometro ho iniziato a catalogare ogni asperità che passa sotto le suole delle mie A5, ormai riesco a distinguerne diametro, macro-forma, granulometria e contenuto in silice….tra un po’ inizierò a chiamarle per nome….le piante dei piedi cominciano ad urlare vendetta.

Sono ormai al 36° chilometro e prima o poi dovrebbe materializzarsi davanti a me la strada che porta al valico di San Pelagio, “punto di ristoro” per chi così è riuscito ad organizzarsi.
Qualche macchina posteggiata ed un paio di persone, conosco qui il simpaticissimo Giorgio, trailer di qualche anno più anziano di me che sta indossando una maglietta asciutta.
Vado avanti, tanto vado piano e mi raggiungi”, gli dico.
La strada da percorrere è ancora lunga, ma in cuor mio sono sollevato per aver incontrato qualcuno e confido ancora nelle mie forze.
Abbozzo una parvenza di ripartenza e riprendo a correre su un sentiero continuamente in saliscendi, che mi sfianca davvero.
Sento nel collo le pulsazioni che salgono, respiro con affanno e devo fermarmi.
Riprendo per altri cento-duecento metri, ma avverto molto la stanchezza e le gambe cominciano a non rispondermi più.
Passo la cima del monte Sambuco e fra trincee della Grande Guerra costeggio il Monte Ermada, ormai quasi sempre al passo, con una forza che sembra svanire, mentre trovo sollievo nel guardarmi attorno.

Il sentiero risale ora un ripidissimo colle e segue la traccia interrata dell’Oleodotto transalpino, che porta il petrolio scaricato dalle navi nel Golfo di Trieste fino ad Ingolstadt, in Baviera…io mi fermo di sicuro prima….
La discesa dall’altra parte del colle è a dir poco vertiginosa, qua se si cade ci si fa male davvero, meglio procedere con attenzione.
Riesco ad accelerare un po’ nell’ultimo tratto della discesa ed approfitto dell’abbrivio per continuare a correre ancora un centinaio di metri.
E’ il 46° chilometro, mi raggiunge Giorgio.
Scambiamo le solite due parole di chi sta iniziando a conoscersi ed è subito profonda empatia.
Scopriamo amici in comune, anche qualcuno che non c’è più, la stessa formazione speleo/alpinistica e ci accorgiamo di appartenere alla stessa Sezione del CAI.
Chissà quante altre volte ci siamo visto in giro per i monti o per i sentieri del Carso, l’uno senza far caso all’altro.
Ma qua oggi è diverso, stiamo condividendo questa ultima interminabile manciata di chilometri ed ognuno di noi ha bisogno dell’altro, un appoggio psicologico che solo la gente che va per monti conosce.
In una piacevolissima chiacchierata facciamo scorrere gli ultimi chilometri sotto le nostre scarpe, in un tratto del percorso largo e ben segnato, ma con dolori lancinanti alle gambe.
Forse lui ne avrebbe ancora, ma io sono davvero agli sgoccioli, e devo camminare ogni volta, appena il sentiero accenna a risalire.
La luce intorno si è velocemente abbassata, ormai è quasi buio ed in lontananza scorgiamo le luci delle prime case del paese, sempre più vicine.
Ancora corsa e cammino, più volte, ed ormai ci siamo.
Mi sarebbe piaciuto arrivare correndo fino alla fine, ma l’ultima salita è per me troppo ripida e non ce la faccio davvero più.

Arriviamo affiancati, come è logico che sia, tra i “BRAVI !!” dei suoi amici che lo stanno aspettando e le bestemmie dei miei che invece erano angosciati non vedendomi arrivare, preoccupati dal cellulare che non dava segno di vita.

Ci ho impiegato nove ore esatte, un’enormità, ma poco importa, per me è stata un’esperienza unica.
Il viaggio che ho fatto dentro di me, oltre che lungo il sentiero, mi rimarrà scolpito profondamente a lungo, pratica zen che non immaginavo di poter provare a pochi chilometri da casa.
Con la gioia del finale in compagnia di un mio simile, impagabile !!
E queste nove ore l’anno prossimo potranno diventeranno otto, considerata l’ora persa tra sbagli di strada, fotografie e cambi di vestiario.
Per adesso è ancora troppo presto per parlarne, visto che in questi ultimi due giorni incontro notevoli difficoltà a salire e scendere le scale, ma ho un anno di tempo per riprendermi.
 

8 commenti:

  1. Dirti bravo è poco,per la determinazione a non arrendersi,era meglio portarsi la mappa dei sentieriper evitare di perdersi, bel racconto.

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  2. Bravo Orzo, sei un mito!.. E complimenti per il racconto, un vero gioiellino...
    P.s: adesso ho capito chi stavano aspettando quei signori dell'ultimo camper rimasto a Jamiano...

    Gianmarco (Ronin)

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  3. Bravissimo, complimenti per la GRANDE impresa!!!

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  4. Direi che con questa avventura hai completamente riscattato un 2011 podistico... difficile.
    Bravissimo Orzo !!!

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  5. Niente vale la Cavalcata. Bel racconto, bellissima determinazione! A presto

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  6. Proprio un bel racconto di corsa ma anche di vita. Ho come l impressione che la prossima volta ci rivedremo con la terra rossa del carso e non con l asfalto sotto i piedi...
    Michele

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  7. - Franco: grazie. Là ci si perde anche con la mappa;
    - Gian: grazie;
    - Vale: grazie:
    - Marco: grazie, te speto....;)
    - Foia: grazie:
    - Caio: grazie, a presto ;)
    - Michele: grazie (touchè....:D)

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